lunedì 30 marzo 2015

Un Uomo Solo al Comando (22 Ottobre 2004)

1993 Finals: Michael Jordan a canestro
“Erano il mio personalissimo banco di prova. Li ho vissuti dall’inizio alla fine come una vera e propria sfida personale. Se nasci con un forte spirito competitivo, cerchi nuove sfide in ogni cosa che fai, in ogni gesto che compi, in ogni momento della tua vita. Mentirei se dicessi che non adoro le sfide. Durante qui playoffs, le cercavo ogni notte, in ogni singola partita”.
Inutile persino dirlo, a parlare è Michael Jeffrey Jordan nel momento in cui, parecchi anni dopo, racconterà lo stato d’animo con cui ha vissuto gli interi playoffs del 1993. Tra i più belli di sempre.
C'eravamo lasciati con i Bulls che avevano superato nella finale della Eastern Conference i Knicks dopo esser stati sotto per due a zero (New York: La Rivalità diventa Incubo).
Jordan, sepolto vivo dalle critiche, per la nottata passata al casinò di Atlantic City prima di gara due, era esploso nella quarta partita, realizzando 54 punti e trascinando i suoi alla vittoria.
Nella decisiva gara 5 aveva messo a segno una tripla doppia. Aveva tenuto a galla i Bulls, segnando 17 punti consecutivi in 13 lunghissimi minuti di black out assoluto da parte dei suoi compagni. Aveva rifilato due delle quattro stoppate consecutive a Charles Smith con cui Chicago aveva chiuso la gara e la serie.

L’ultimo ostacolo prima dell’anello era adesso rappresentato dai Phoenix Suns, in una serie che aveva tutte le caratteristiche per passare alla storia.
Da un lato Phoenix, col miglior record della lega (62 vittorie e 20 sconfitte) e col fattore campo a favore. Dall’altro i duplici campioni di Chcago.
Da un lato Pippen e Grant, inseriti rispettivamente nel primo e secondo quintetto difensivo, dall’altro Kevin Johnson e Danny Ainge. Da un lato BJ Armstrong, primo in stagione fra i tiratori dalla distanza, dall’altro il bombardiere Dan Majerle.
Ma il confronto veramente da brividi era quello fra i due migliori giocatori del mondo, Charles Barkley contro Michael Jordan.
Sir Charles (25.6 punti e 12.2 rimbalzi in regular) aveva appena strappato ad MJ il terzo trofeo consecutivo di MVP stagionale. Michael aveva promesso vendetta in finale e si era consolato col settimo titolo consecutivo di miglior marcatore della lega (record di Chamberlain eguagliato).
A dare più enfasi a quella che si prospettava una vera e propria serie infuocata, c’era la possibile tripletta dei Bulls. Una tripletta che non riusciva nella lega da 27 anni, banale a dirsi, dai tempi dell'immenso Bill Russell. Una sfida nella sfida per MJ.
Inutile persino chiedersi quale ne sarebbe stato l’esito. Parafrsando Marco Ferretti che in una famosissima radiocronaca cicilistica celebrò così la vittoria di Coppi al giro di Italia del 1947, potremmo riassumere quella serie finale con la storica frase “Un uomo solo al comando”.
Durante l'arco delle sei partite, MJ eguagliò il record di due icone come Jerry West e Rick Barry, segnando oltre trenta punti in ogni singola gara della serie.
Ma non si limitò a questo. Segnò oltre 40 punti in quattro delle sei partite. Ne realizzò 55 in gara 4. Chiuse con la media stratosferica di 41.0 punti per gara. Portò i Tori alla tripletta e fu lo scontatissimo MVP delle finali per la terza volta consecutiva.
“Cosa dovrei dire? Non ci sono parole. E’ il più grande giocatore di sempre” dirà, magari esagerando un po' Kevin Johnson al termine di gara 6.
“Michael ha voluto scavare un solco fra lui e gli altri grandissimi campioni del passato. Un solco che difficilmente qualcuno riuscirà mai a colmare” confermerà è Scott Williams.
Eppure quella finale era cominciata nel peggiore dei modi per il giocatore col numero 23. Già durante la serie con i Knicks, la pressione e l’interferenza dei giornalisti nella sua vita privata e nei suoi problemi con il gioco d’azzardo, avevano raggiunto livelli altissimi.
Il libro scandalo di Esquinas
A gettare benzina su un fuoco che non accennava ad estinguersi, il giorno prima di gara 1, era stato pubblicato il libro di Richard Esquinas dal titolo Michael & Me, in cui l’autore, afflitto da enormi debiti di gioco ed ex amico di Jordan, raccontava tutti i retroscena delle sue sfide a golf con Michael, svelando come dietro quelle innocenti partite si nascondessero in realtà scommesse per considerevoli somme di denaro. Su ogni buca, su ogni singolo colpo, erano in palio fino a centomila bigliettoni verdi e i debiti che Jordan aveva maturato nel tempo, avevano raggiunto la stratosferica cifra di un milione e mezzo di dollari.
Il libro fece breccia nell’opinione pubblica come non mai e fu subito un nuovo scandalo. La vita privata di MJ venne passata al setaccio dai network americani, cui non sembrava vero di poter finalmente scavare fra le torbide pieghe di colui che, fino a pochi giorni prima, aveva sempre fornito di sé l'immagine di essere perfettissimo, sia in campo che fuori dal parquet.
La stampa cominciò a premere affinché Jordan riconoscesse di avere gravi problemi col gioco d’azzardo.
Michael interruppe il silenzio stampa (iniziato subito dopo le gravi accuse seguite alla fuga di Atlantic City) e registrò una lunga intervista per la NBC che andò in onda nell’intervallo di gara 1.
Durante quell'intervista MJ ammise di aver perso dei soldi giocando a golf con Esquinas, ma dichiarò che la cifra totale non era assolutamente vicina a quella apparsa sul libro. Ma la polemica non accennava a spegnersi. Tempo dopo ci sarà chi parlerà di una vera e propria congiura ai danni di Jordan organizzata da qualcuno che non aveva interesse nella vittoria dei Bulls durante quelle finali.
La conferenza stampa di MJ dopo gara 1
Su pressione di David Stern dopo gara 1, MJ si consegnò letteralmente in pasto alla stampa e rimase un’ora a rispondere a domande che giammai riguardarono la partita, ma solo ed esclusivamente il gioco d’azzardo, il golf, i debiti, Richard Esquinas.
Eppure gara 1 era stata una notevola prova di forza di Chicago.
Horace Grant aveva segnato 11 punti solo nel primo quarto, trascinando i suoi ad un parziale di 34 a 20. Nella seconda frazione, Chicago aveva addirittura gonfiato il suo vantaggio, prima di una parziale rimonta dei Suns. Poi Michael aveva segnato 14 dei suoi 31 punti nel quarto periodo. Pippen ne aveva messi 27 complessivi e i Bulls si erano imposti bene per 100 a 92, contenendo al meglio Charles Barkley.
La serie era appena iniziata e già Phoenix aveva perso il fattore campo.
Gara 2 era una partita assolutamente da vincere per i Suns. Barkley giocò un grandissimo match, segnò 42 punti e prese 13 rimbalzi, ma Kevin Johnson e Dan Majerle furono annullati dalla difesa dei Bulls.
Pippen andò in tripla doppia e stoppò il tiro del pareggio di Ainge. Jordan segnò 42 punti e Grant 24.
Risultato: 111 a 108, Bulls.
Serie sul 2 a 0. Chicago era la prima squadra della storia a vincere le prime due partite in trasferta di una serie di finale.
Jordan al tiro
La serie si trasferì nell’Illinois, dove il tema del giorno era cambiato. Dai debiti di gioco di MJ al possibile e favoloso sweep. Nessuno immaginava che gara 3 sarebbe stata una grandissima battaglia, di quelle che, a definirle storiche, di certo non si sbaglia. Il coach dei Suns, Paul Westphal, tolse a Majerle la marcatura di Jordan, spostandolo su Pippen e mise il play Kevin Johnson a seguire Michael.
I primi tre quarti della partita furono molto equilibrati. La terza frazione di gioco si chiuse sull’86-85 per Phoenix.
Ma nel quarto periodo Jordan fece 0 su 10 al tiro. A 7 primi e 33 secondi dalla fine del match, i Suns conducevano di 11.
I Bulls misero a segno un parziale di 15 a 4, con cui riuscirono ad impattare la partita alla fine del tempo regolamentare.
Il primo supplementare si chiuse ancora in parità.
Nel secondo i Bulls sembrarono allungare, ma Jordan sbagliò il tiro libero del più cinque. Poi Sir Charles da sotto e ThunderDan da fuori, pareggiarono.
Nel terzo supplementare i Suns chiusero con un parziale di 9-0 e vinsero per 129 a 121. Jordan aveva messo 44 punti in 58 minuti. Kevin Johnson aveva giocato 62 minuti dei 63 disponibili e chiuso con 25 punti e 9 assist. Majerle aveva messo 6 canestri da tre. Barkley aveva realizzato 24 punti e catturato 19 rimbalzi.
Il coach dei Suns Paul Westphal era stato uno dei protagonisti dell’altro storico match di finale, terminato al triplo overtime, gara 5 del 1976 fra gli stessi Suns e i Celtics (La Maratona di Boston). Quando nel dopo-partita, la stampa gli chiese quali erano state le differenze fra i due match, Westphal rispose: “Questa volta hanno vinto i buoni!”.
Il giorno dopo quella gara 3, forte dei 24 tiri sbagliati da MJ e del suo 0 su 10 dal campo nel quarto periodo, Peter Vecsey, la penna più popolare d’America, scrisse chiaramente che riscontrava primi segnali di cedimento nella prestazioni di Michael Jordan.
MJ rispose la sera successiva con 55 punti in gara 4 ed il canestro risolutivo in penetrazione, su cui Barkley commise anche fallo per un gioco da tre punti. 
Barkley e Jordan
Quella personalissima partita che Michael condusse dalla palla a due fino alla sirena, per molti è stata una delle più grandi prestazioni della sua cariera. Nessun Suns riuscì mai a limitarlo, tirò con 21 su 37 dal campo, trascinando letterlamente di peso i Bulls alla vittoria per 111 a 105 e rendendo vana l’incredibile partita di Sir Charles (32 punti, 12 rimbalzi, 10 assist, 3 recuperi, 1 stoppata).
La serie era adesso sul 3 a 1. L’unica sconfitta dei Bulls era maturata dopo un triplo supplementare. Sembrava dovesse essere la fine per Phoenix.
Gara 5 fu preceduta dai ripetuti appelli delle televisioni di Chicago a festeggiare il titolo in maniera civile, rispettando la città, le macchine ed i negozi. Poco prima della gara, Barkley dichiarò che aveva fatto un giro per Michigan Avenue e aver avuto l’impressione di trovarsi in una città fantasma. Nessuno per strada. Poche macchine parcheggiate. Tutti i negozi sbarrati.
Quando i Suns s'imposero sorprendentemente in gara 5, andando a violare per la seconda volta in tre partite il Chicago Stadium, Charles commentò ironicamente: “Potere tirar su le saracinesche, abbiamo salvato Chicago!”.
In gara 5, Jordan aveva segnato 41 punti con il 55% al tiro, Pippen aveva messo altri 22 punti, ma gli altri Bulls erano parsi stanchi. Grant aveva messo un solo punto in 38 minuti di gioco, rimanendo completamente estraniato dal gioco e dominato da Barkley. I Suns avevano stravinto la battaglia a rimbalzo.
La serie ora prendeva improvvisamente tutt’altra direzione. Sul 3 a 2, per vincere il titolo, Chicago avrebbe dovuto tornare ad imporsi in Arizona. Non un’impresa disperata, considerando che vi era già riuscita nelle prime due partite della serie, ma gara 5 aveva evidenziato un evidente stato di stanchezza fisica e psicologica di tutti i Bulls.
D’altro canto, a Phoenix si iniziava a credere veramente nella grande impresa. I Suns al rientro in città furono accolti dal seimila tifosi festanti. Barkley commentò che erano la squadra del destino e che Dio era dalla loro parte.
I Bulls erano consci che per vincere il titolo, si sarebbero dovuti imporre nella sesta partita. Se la serie fosse andata sul 3 a 3, difficilmente sarebbero usciti indenni da una gara 7 all’America West Arena.
Il primo quarto di gara 6 fu quasi un’esibizione al tiro dalla distanza per i Bulls. 
BJ Armstrong per due volte, Jordan per due volte, e Trent Tucker portarono Chicago a chiudere la prima frazione sul 37 a 28.
Nel secondo quarto i Suns provarono a rimontare guidati soprattutto da Ainge, ma i Bulls ressero l’urto e andarono all’intervallo sul 56 a 51. Per MJ 5 su 8 dal campo e 16 punti complessivi.
Ma nel terzo periodo emerse tutta la stanchezza che Chicago aveva accumulato nel corso di una stagione e più in generale di un triennio estenuante. I Suns furono più volte sul punto di completare la rimonta e solo la precisione dalla distanza dei Bulls lo impedì.
A sei minuti dalla fine del terzo periodo, Paxson riportò Chicago sul più sette con una tripla. Chambers, lanciato tutto solo a canestro da un assist di Johnson, sbagliò un incredibile schiacciata, cogliendo il ferro e sull’azione successiva BJ Armstrong ancora da tre, regalò il più 10 a Chicago.
I Bulls erano 9 su 12 dalla distanza. Una percentuale che avrebbe ammazzato un toro, ma i Suns non mollarono. 
Barkley da sotto andò a canestro. MJ gli rispose con un tiro in sospensione. Ancora Barkley andò a schiacciare di potenza. Ancora Jordan in sospensione.
Era una battaglia fra titani. I Bulls tuttavia apparivano in evidente debito di ossigeno. Se fino ad allora non erano ancora affondati era solo grazie al solito Jordan e alla precisione dei suoi tiratori dalla distanza. Sotto canestro invece stavano nuovamente subendo il dominio degli avversari e perdendo la battaglia a rimbalzo. Ancora una volta Horace Grant si stava dimostrando completamente invisibile sul parquet. Dopo una gara 5 chiusa con 1 solo punto a referto, l'occhialuta ala di Chicago si stava ripetendo anche nella decisiva gara 6. Per lui 0 su 5 al tiro, un solo punto, appena sei rimbalzi.
Una magia di Jordan a 30 secondi dalla fine del periodo ed un canestro di Tucker, ricacciarono indietro Phoenix, ma in un palazzetto che trepidava per la grande impresa, i Suns chiusero il terzo parziale ancora sotto di 8 punti (87 a 79, Chicago), ma l’inerzia della partita sembrava completamente dalla loro parte.
Arriva infine l’ultimo periodo di gioco. Quello in cui si scrive la Storia. Fra l’entusiasmo del pubblico sugli spalti, i Bulls sbagliano una serie impressionante di tiri.
Cartwright a due metri dal canestro viene stoppato da Mark West e sull’azione successiva il centrone dei Bulls commette un fallo di pura frustrazione sull’avversario. Pippen forza un tiro, ma trova il ferro.
Ogni singolo rimbalzo è adesso di Phoenix.
Barkley porta in post basso Horace Grant, finta il tiro e serve splendidamente Dumars che va a canestro, per il meno 3 dei Suns. L’America West Arena è adesso un’autentica bolgia.
Pippen perde un pallone banalmente, sull’azione successiva Barkley abusa di Grant e Cartwirght, subisce il fallo e firma dalla lunetta il meno uno.
Jordan, Paxson e Pippen sbagliano tre conclusioni di seguito per i Bulls. Dall’altro lato Kevin Johnson coglie il ferro su assist di Barkley. 
Il tempo scorre, Chicago non trova il canestro e Phoenix si avvicina inesorabilmente.
Jordan prende palle, penetra, accentra su di sé la triplice marcatura dei Suns e scarica su Grant che incredibilmente solo sotto canestro, coglie il ferro e perde pure il rimbalzo offensivo anticipato da Barkley che gli arriva alle spalle a tutta velocità. Jordan dalla lunetta rompe il digiuno dei Bulls nel quarto periodo che dura ormai da cinque minuti. Ma sull’altro lato del campo un incredibile Barkley firma la parità: 88 ad 88.
Mancano 5 primi e 20 secondi alla fine della partita e i Bulls sono 0 su 9 dal campo nel quarto periodo. Hanno siglato un solo punto. Un tiro libero del numero 23.
Di nuovo Jordan interrompe la serie di nove errori consecutivi di Chicago con un jump. Ma Majerle risponde da tre. È il primo vantaggio di Phoenix nella partita e arriva proprio nel momento decisivo della gara e probabilmente della serie: 91 Suns, 90 Bulls.
Jordan però non ci sta. In sospensione riporta Chicago avanti di 1, ma Barkley in tap in firma il controsorpasso per i Suns. Cartwright commette il quinto fallo su Majerle, che fa 1 su 2 dalla lunetta e Phoenix si porta sul 94 a 92, quando mancano poco più di te minuti alla fine della partita.
Kevin Johnson in gancio regala il più quattro ai suoi. Massimo vantaggio Suns dopo una partita costantemente a inseguire.
Barkley commette il quinto fallo e Jordan in sospensione firma il meno due: 96 a 94, Phoenix.
Kevin Johnson mette due liberi e fissa il risultato sul 98 a 94. Sulla rimessa i Bulls fanno girare a lungo il pallone, ma non riescono a trovare un tiro. La sirena dei 24 secondi coglie un Pippen spaesato che, palla in mano, sta ancora cercando un compagno a cui passare.
I giocatori di Phoenix esultano. Manca un minuto e mezzo alla fine e i Suns sono avanti di quattro con palla in mano.
Ma la cosa più importante è che Chicago ha segnato solo 7 punti nell’ultima quarto.
Per il possesso dell’ipotetica vittoria i Suns vanno dal proprio bombardiere, al secolo Dan Majerle. 
Thunder Dan scaglia con mano sicura la tripla che vuol dire vittoria nella partita e molto probabilmente titolo, ma coglie il ferro.
Barkley, pur completamente sbilanciato, è superbo a volare a rimbalzo, superando le braccia protese dei lunghi dei Bulls.
Sir Charles cade rovinosamente al suolo, ma non molla la palla. Time Out.
Le squadre tornano in campo. Sulla rimessa per Phoenix, Kevin Johnson ha fra le mani la seconda possibilità di chiudere la partita, ma il suo tiro va sul ferro. 
Michael Jordan è il più lesto di tutti. Vola a rimbalzo, percorre tutto il campo dando fondo ad ogni energia residua, e appoggia in lay up il canestro del meno 2 per i suoi Bulls quando mancano 35 secondi alla fine.
Palla ai Suns.
Dan Majerle, dall’angolo destro, prova nuovamente il tiro della vittoria. E' la terza chance per i suoi Suns, la seconda per lui. Stavolta non trova neanche il ferro. Pippen va a rimbalzo. Time Out, Bulls. 
Quattordici secondi e quattro decimi alla fine. I Bulls, sotto di due, hanno in mano la palla che potrebbe dire vittoria e titolo o quanto meno overtime. Chicago ha realizzato solo 9 punti nel quarto periodo. Tutti di Jordan. Il resto della squadra è ferma al palo negli ultimi 12 minuti di gioco.  
La tripla di John Paxson
Phil Jackson decide di andare con un tiro da due per portare la partita al supplementare. Alla rimessa è proprio Michael. Serve Paxson che subito gli restituisce palla. Phoenix stringe su Jordan. MJ serve Pippen. Scottie entra in area. Mark West gli sbarra la strada. Pippen riesce a pescare ottimamente Grant in pivot basso, completamente libero.
Sono due punti facili, serviti su un piatto d’argento. Ma Horace Grant, libero sotto canestro, non tira. Ha realizzato solo 2 punti nelle ultime due partite, entrambi dalla linea della carità, non è riuscito a mettere un singolo canestro dal campo negli ultimi 70 e passa minuti passati sul parquet, è in totale crisi di gioco e di fiducia. 
Ed è così che Horace, invece di appoggiare a canestro e forzare l'overtime, si gira e incredibilmente scarica la palla fuori per Paxson.
Il numero 5 in maglia Bulls, non ci pensa due volte. Carica la tripla. Solo rete.
È il canestro che vale il Three-peat.
Paxson percorre tutto il campo a braccia alzate. Pippen lo insegue per abbracciarlo. Jordan esulta.
Phoenix ha ancora tre secondi a disposizione per vincere. Ma Horace Grant stoppa Kevin Johnson.
Poi la sirena lascia solo spazio all’esultanza dei Bulls.
Chicago ha chiuso la partita con 10 canestri su 14 dalla distanza. Pippen ha messo a segno 23 punti e catturato 12 rimbalzi. Per BJ Armostrong 18 punti e un 4 su 5 da tre. Michael Jordan ha chiuso con 33 punti.
Ventisei anni prima, nelle sei partite della finale del 1967, Rick Barry in maglia Warriors aveva realizzato 40.8 punti a partita contro il colosso Chamberlain e contro i Philadelphia 76ers. Si pensava potesse essere uno score inavvicinabile per chiunque. 
Ventisei anni dopo, il suono della sirenza di gara 6 che consegna la vittoria ai Bulls, sancisce anche uno nuovo record. Michael Jordan ha appena chiuso la serie con una media di 41.0 punti per gara. Tuttora è record NBA per una finale.
Il numero 23, sacrosanto MVP per la terza volta consecutiva, viene subito circondato da decine di microfoni:
“Avevo un solo obbiettivo in queste ultime settimane. Vincere il terzo titolo. Potevate dire di me quello che volevate, lodarmi o criticarmi, ma non sareste mai riusciti a distogliermi da quello che era ormail diventato il mio chiodo fisso. Qualcosa che gente come Isiah, Larry, Magic non ha mai fatto. Non voglio dire di essere migliore di loro. Non voglio essere chiamato il più grande di sempre, ma ci sono riuscito e questa per me è la cosa più importante ed è qualcosa che nessuno potrà mai portarmi via. Ho vinto la sfida più importante e difficile della mia vita”.



TO BE CONTINUED...



Articolo Pubblicato da The goat per PlayitUsa il 22 Ottobre 2004

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